Demenza senile: definizioni medico-scientifiche
Il titolo di questo articolo è un quesito di delicatissima importanza, a cui tenteremo di dare una risposta quantomeno indirizzante. Cominciamo col fare un po’ di chiarezza su cosa sia effettivamente la demenza senile. Troppo spesso questo termine si confonde con l’altra grande rappresentante della categoria dei deterioramenti mentali: la demenza tipo Alzheimer. Ne abbiamo già parlato sull’articolo precedente: si tratta di due patologie diverse, sebbene producano quadri clinici sostanzialmente sovrapponibili. La demenza tipo Alzheimer è provocata da una tipica degenerazione neuronale dovuta all’accumulo di sostanza amiloide all’interno delle cellule. La demenza senile propriamente detta, invece, è una ben definita demenza di tipo vascolare. Ciò significa che la degenerazione della materia cerebrale è dovuta all’occlusione dei piccoli vasi sanguigni cerebrali che si verifica con il procedere degli anni e che è certamente aggravata da alcuni fattori quali diabete, ipertensione, dislipidemie, fumo di sigaretta. Si tratta, in entrambi i casi, di malattie neuro-degenerative dell’encefalo, tipiche dell’età avanzata e caratterizzate da una riduzione graduale, e praticamente irreversibile, delle facoltà cognitive della persona. Della demenza vascolare, altrimenti denominata leucoencefalopatia multifocale progressiva (LMP), non esiste una variante giovanile, come invece accade per il morbo di Alzheimer. Il declino che progressivamente si realizza anche in queste persone è sufficientemente grave da interferire con la vita quotidiana in maniera invalidante.
Sintomi principali del deterioramento mentale senile (demenza)
I sintomi, anche in questo specifica variante, sembrano ricordare quelli delle altre forme, con cui si sovrapongono. Essi sono:
1. Prime dimenticanze di oggetti, nomi, etc. e deterioramento della memoria a breve termine
2. Progressiva perdita della capacità di riconoscere visi, luoghi, etc.
3. Progressiva perdita di capacità operative (cucinare, vestirsi, etc.)
4. Deterioramento del linguaggio e delle capacità espressive
5. Alterazioni della personalità (sintomi psicotici, delirii, allucinazioni, aggressività)
6. Alterazioni della motricità (movimenti delle mani, deambulazione, postura, etc.)
Come possiamo curare la demenza senile?
Tutte le forme di demenza sono deterioramenti irreversibili del sistema nervoso. Pertanto non esistono farmaci o pratiche curative in grado di arrestare la progressione della malattia. Tuttavia disponiamo di numerosi strumenti di cura la cui funzione è quella di rallentare sensibilmente il tempo di deterioramento mentale dei nostri nonnetti, assicurando loro una qualità della vita il più possibile soddisfacente per tempi decisamente prolungati. Questo è da ritenersi già un goal terapeutico importante e degno di essere pianificato e perseguito. Tutte le forme di allenamento della mente e del corpo esitano in un netto rallentamento del processo degenerativo. Possiamo chiamarla ‘ginnastica per la mente’ ed è acclarato che essa produca un aumento di alcuni fattori neuro-trofici e neuro-stimolanti (in primis il fattore di crescita nervino, o NGF, che valse il premio Nobel per la Medicina alla nostra Rita Levi Montalcini) in grado di riaccendere aree cerebrali sopite e generare la crescita di nuove terminazioni nervose. La risposta del nostro sistema nervoso a tale stimolo è ben nota come plasticità neuronale. La stimolazione cognitiva, dunque, è una pratica fondamentale per ritardare la progressione della demenza. I farmaci sono nostri potenti alleati e possono aiutare moltissimo, ma solo se usati correttamente e da mani esperte. A questo punto del nostro incedere fa capolino la professione d’aiuto più bella del mondo: la Musicoterapia.
Obiettivi della Musicoterapia sul paziente con demenza senile
Come discusso nel libro “Musicoterapia Clinica” (Artemia Nova Editrice), al corrispettivo capitolo, e di cui vi consigliamo la lettura per un maggiore approfondimento di questo e di altri temi, la straordinarietà del metodo Musicoterapia con questo gruppo di pazienti, consiste nella postulabilità e nella raggiungibilità dei seguenti obiettivi clinici:
- Attivare nel soggetto le modalità espressive e relazionali arcaiche. Tali modalità, riattivate attraverso la produzione sonora attiva, possono essere ancora presenti nonostante il processo degenerativo che ha certamente provocato un’importante perdita del contingente neuronale sano e funzionante. Tale perdita è concreta e quantificabile con le metodiche di neuroimaging. Le suddette modalità espressive e relazionali arcaiche risultano recuperabili attraverso la regressione (che assai operativamente il modello Benenzon mette a nostra disposizione, grazie al proprio enorme potenziale regressogeno). Tali modalità, dunque, presenti nella loro quota residua, possono essere parzialmente recuperate. Alla regressione menzionata daremo un nome ben preciso, come ben rappresentato degli esperti di psicoterapia e psicodinamica, chiamandola regressione riparatoria. In questo caso si realizzerà un vero e proprio by-pass cognitivo grazie all’evitamento di tutte quelle strutture e capacità elaborative e di simbolizzazione che rappresentano, appunto, un’impalcatura costruita nel tempo e che fortemente si lega all’impianto cognitivo della persona. Tali elementi sono andati perduti e si stanno perdendo, a causa della malattia. E’ per questo che dovremo bypassarne il nucleo, proprio perché non più appartenente alla persona. Il by-pass, così operato, ci permetterà di accedere alle emozioni e alle sensazioni basilari, di default, del paziente, per gran parte non strutturate e non consapevoli;
- Favorire il mantenimento del senso di identità. Il senso di identità del soggetto con neurodegenerazione tende a perdersi in quanto il deterioramento mentale corrode, nel mezzo dei suoi molteplici effetti, anche l’affermazione dell’Io cosciente, consapevole e decidente in relazione a ciò che è diverso dal sé, provenendo dal mondo circostante. Il soggetto tenderà a fare sempre più confusione e a non separare più le due istanze. Un meccanismo formalmente analogo è osservabile nel bimbo in tenerissima età. La Musicoterapia favorirà un riaffermarsi, per quanto possibile, del senso di identità del paziente migliorandone il rapporto con il mondo esterno attraverso l’armonizzazione e l’integrazione delle relazioni. La reintegrazione della condizione di Io agente e soggetto attivo del predicato verbale consentirà anche di migliorare l’organizzazione della personalità poiché uno degli aspetti più gravemente alterati nei pazienti con neurodegenerazione è proprio l’impianto di personalità. Il termine più giusto da usare in questo caso ci sembra integrazione (o re-integrazione), proprio a contrastare quanto si sta verificando, vale a dire la disintegrazione della psiche. I primi due punti sono solo apparentemente in antitesi con il terzo;
- Evocare e recuperare una parte delle funzioni cognitive e delle abilità perdute. Qui si colloca una delle funzioni sostanziali della Musicoterapia in toto, che abbiamo esperito anche con i bambini con sindromi genetiche e neurolesioni di vario grado e genere. Stiamo parlando del fatto che la persona, grazie al metodo Musicoterapia, si confronta con il ri-apprendimento. Ricordiamo che apprendere vuol dire imparare una facoltà mai posseduta mentre ri-apprendere significa re-imparare una qualche capacità che, invece, è andata perduta a causa di una malattia. Lo stimolo sonoro, in tal frangente, può essere applicato per recuperare, almeno in parte, le funzioni cognitive e le abilità che sono andate perdute. Attraverso la musica strutturata sarà possibile evocare le tracce mnesiche, la memoria, i cui neuroni hanno una sede ben precisa nel nostro sistema nervoso (giro cingolato, lobo limbico, ippocampo, corteccia e telencefalo). L’evocazione della memoria è un neurostimolo molto potente ed in tal modo sarà possibile indurre, da parte della popolazione cellulare residua, un incremento di neuropeptidi finalizzato alla proliferazione del tessuto (come il fattore di crescita nervino o NGF). E’ evidente che questo meccanismo contrasta, con i suoi limiti di vario genere, la progressione della malattia;
- Migliorare l’umore attraverso moduli connessi con la memoria. Il miglioramento dell’umore, grazie all’evocazione di moduli mnemonici che hanno la proprietà di agire sull’asse timico, si tradurrà nella possibilità di contrastare uno degli elementi sostanziali della neurodegenerazione: la depressione;
- Agire sulle alterazioni della personalità e del comportamento. Il meccanismo di tale obiettività, peraltro ben suffragato dalla letteratura, ci è per gran parte ignoto, pur convergendo, con tutta probabilità (cfr. punto 2), nella re-integrazione dell’Io cosciente, consapevole ed in grado di riaffermare la propria identità;
- Elicitare la plasticità neuronale. Evidente la convergenza con quanto asserito al punto 3 a proposito della relazione tra neurostimolo e neuropeptidi. Lo scopo della Musicoterapia, visto qui dalla prospettiva della neurofisiologia, sarà quello di favorire l’integrazione funzionale della popolazione cellulare residua per sopperire al contingente perduto a causa della malattia. Una conseguenza piuttosto diretta di questo obiettivo manifestamente ambizioso sarà tentare di riconferire al soggetto della abilità prassiche (realizzazione fattiva manuale), oltre che gnosiche (riconoscimento e sistematizzazione) e linguistiche (ri-apprendimento di termini ed espressioni). In calce a quest’ultimo punto ricordiamo l’importante impatto che la Musicoterapia ha sull’ansia di questi pazienti. Il lenimento della loro sintomatologia ansiosa merita certamente di essere inserito tra i goal terapeutici.
Per qualsiasi ulteriore approfondimento si potrà contattare il nostro Laboratorio di Musicoterapia Clinica applicata in Pescara, ai recapiti indicati su questa pagina web.
Dott. Marco Di Matteo